“Metà del denaro che spendo in pubblicità è sprecato, e il guaio è che non so quale metà sia”, così affermava lo statunitense John Wanamaker, politico e businessman innovatore, primo a utilizzare nella seconda metà dell’Ottocento lo strumento della stampa per gli annunci pubblicitari.
Il tempo da allora è trascorso, così come si sono evoluti gli strumenti pubblicitari. Ciò nonostante, per le imprese il tema rimane ancora attuale: accrescere la brand reputation, individuare il target dei clienti e fidelizzarli. Il tutto con il minimo sforzo possibile.
La trasformazione digitale ha dato un forte impulso in questo senso, laddove lo sviluppo del digital marketing ha permesso di accrescere la conoscenza della domanda sul mercato tramite l’uso dei numerosi strumenti che il web offre, dai cookies e gli altri strumenti di tracciamento, ai social network, alle newsletter.
C’è tuttavia un limite a questa attività, che il Garante spesso ci ricorda, ovvero il diritto delle persone fisiche alla protezione della loro privacy e dei loro dati personali.
Dal consenso granulare ai limiti al ricorso al legittimo interesse, dall’opt in/opt out ai cookies e alla legittimità degli altri strumenti di tracciamento, per poi passare al targeting dei clienti e alla loro profilazione. Ognuno di questi aspetti è stato trattato dal Garante, talvolta con linee guida dettagliate, altre volte con veri e propri provvedimenti sanzionatori, attraverso i quali si è espresso in ordine alla percorribilità di certe scelte commerciali, indirizzando così l’operato delle imprese nel settore del marketing.
Anche sotto la vigenza del GDPR, dunque, è possibile fare ricorso al digital marketing e realizzare gli obiettivi di sviluppo dell’impresa. Il segreto sta nel conoscere le insidie, lato privacy, di questi strumenti e i rimedi che la normativa ci offre, affinché non si rivelino armi a doppio taglio.
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